Palazzo Cigola Martinoni
La famiglia Cigola è radicata nel territorio sin dal XV secolo; i suoi membri si erano distinti come proprietari terrieri di grande abilità e intraprendenza bonificando parte dei terreni attorno al fiume Mella.
Fu solo nel 1510 che i monaci di Sant’Eufemia, proprietari di un appezzamento nel paese, donarono il terreno dove sorgerà poi l’attuale Palazzo Cigola Martinoni a Tommaso De Cegulis, scudiero di Luigi XII di Francia, sceso in Italia per conquistare il Ducato di Milano nell’anno 1500.
In un estimo del 1534, Calimero, figlio di Tommaso, risulta abitante in un edificio che può essere identificato con il cosiddetto “Torrione” cinquecentesco, il cui sviluppo verticale fa ancora parlare, impropriamente, di casa-torre, caratterizzato dal cornicione con mensole binate.
A questo edificio si aggiunsero alcune stanze al piano terra, dotate di portico, che avrebbero formato il nucleo dell’ala centrale; il palazzo doveva trovarsi in questo stato ancora nel 1723, data cui si riferisce una polizza d’estimo in cui i cinque figli di Alessandro Cigola vivono nel vecchio edificio e in tre stanze con portico immediatamente adiacenti.
Nulla sappiamo delle vicende del palazzo prima degli interventi settecenteschi; quello che pare certo è che nella seconda metà del seicento un edificio così strutturato e disorganico non poteva più essere adatto alla nuova posizione sociale della famiglia; infatti, Giovanbattista Cigola, nato nel 1628, riunì i beni di tutti rami estinti della sua stirpe, dando vita a un feudo di grande estensione.
Le tre stanze con portico, di cui fa cenno nel documento del 1723, dovevano appartenere a questa fase storica, analogamente al giardino documentato nel fine seicento dal Paglia, che nel suo “giardino della pittura” scrive:
“Evvi una statua di pietra dimostrante Flora alta Braccia cinque nel Giardino de Sri Cigole quali tengono alcuni quadri non ordinari, la statua è di mano Santo Caligari scultore, Bresciano”.
Non resta traccia della statua del Calegari, artista che stava lavorando per i giardini più importanti del territorio; il brano è comunque importantissimo, perché attesta la presenza di una collezione di quadri di una certa importanza e un’attenzione all’arte, da parte dei Cigola, di cui non resta memoria altrove.
Le stanze con portico, quindi, dovevano essere abbastanza articolate, forse più di quanto lascino pensare i pochi documenti disponibili.
Fu probabilmente Giovanni Donegani (1753-1813) l’architetto del lato occidentale; i suoi interventi non si limitarono all’erezione della nuova ala, ma anche all’adattamento e alla riqualificazione di quella centrale già esistente, anche se ridotta rispetto a quella attuale: infatti, non ci sono cesure nette nell’impianto della distribuzione delle stanze, prova che Donegani ebbe modo di agire in modo consistente anche sugli ambienti, raccordandoli abilmente in un complesso che risulta il più unitario possibile, considerando le premesse.
L’intervento del Donegani è sintomo, di per sé, del prestigio della famiglia, poiché questi era il maggiore architetto della città, detentore dei maggiori incarichi pubblici e privati alla morte della generazione di architetti di metà secolo (Turbini, Marchetti);
La sua vena decisamente neoclassica esplode soprattutto nella ricerca della semplicità lineare e della sobrietà delle decorazioni, come avviene in altre opere, quali Palazzo Fenaroli a Brescia la chiesa di Coccaglio. L’attitudine del Donegani di tradurre i modi del barocco locali secondo modi neo-rinascimentali, si ritrova pienamente anche qui a Cigole, confermando i caratteri del portico centrale che Perogalli definiva “neobrunelleschiani”.
Tale prospetto sembra portare a un’estrema semplificazione delle ville del Turbini; Mancano cornici agli archi e alle finestre, pur disegnati con un perfetto senso della proporzione; la facciata è senza aggiornamenti di qualsiasi sorta.
L’architetto risulta in contatto con i conti una seconda volta, se possono essergli riferiti progetti per il giardino all’inglese della villa Cigola, ora Fenaroli, a Seniga. Alcuni ambienti presentano una decorazione rococò di fine settecento, consistente in ornati architettonici, con fiori, ghirlande e vasi; un repertorio opulento ma assai convenzionale, che riprende la quadratura con ricchi inserti floreali, frutta ed edere che il pittore Pietro Scalvini aveva portato nelle ville della provincia bresciana.
Gli affreschi del salone, invece, raffigurano panoplie con stemmi Cigola e Martinengo; sono certamente dei primi anni dell’ottocento, quando Cesare Cigola sposò Margherita Martinengo Cesaresco. Il palazzo fu poi ereditato dei Fenaroli e, nel 1860, venne acquistato dal conte bergamasco Luigi Martinoni, che costruì la loggetta adiacente al torrione, su progetto dell’architetto Luigi Tagliaferri; gli affreschi di buona parte della villa furono restaurati, a imitazione di quelli precedenti, proprio in questi anni, coerentemente con l’attenzione revivalistica dell’architetto; vi furono aggiunti anche alcuni interessanti trompe d’oeil e raffigurazioni di palazzi appartenuti ai conti Martinoni.
Dal 1984 è di proprietà comunale, che ne ha recentemente fatto sede del Municipio.
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